Nelle aree montane, le donne hanno affrontato per secoli con tenacia le difficoltà che il vivere in alta quota comportava. Questa forza nell’accogliere le sfide di ogni giorno si è trasformata, già sul finire dell'Ottocento, in grinta nel praticare ascensioni e sport più diversi.
A Charles Pierre de Frédy, barone de Coubertin, si deve l’avvio dei giochi olimpici moderni a fine Ottocento, nei quali però la partecipazione femminile veniva fortemente ostacolata. Le donne, infatti, dovevano avere un ruolo puramente estetico o semplicemente celebrativo durante le premiazioni degli atleti. Il barone de Coubertin indicava lo sport femminile come antiestetico e poco pratico, e così, fino a cento anni fa, la presenza delle donne ai giochi olimpici era ancora fortemente penalizzata.
Nei confronti dello sport femminile, la stessa cultura di allora, maschilista e conservatrice, come anche la medicina e la chiesa, paventavano pericoli e rischi ai danni sia della fertilità sia della moralità: lo sport praticato dalle donne metteva in dubbio la devozione e l’onore. Ogni forma di emancipazione della donna verso la dimensione sportiva, dunque, era vista con sospetto.
Tuttavia, alcune donne di ceti elevati o più progressiste si organizzarono in una sorta di “movimento sportivo al femminile” e iniziarono a partecipare nei territori alpini alle scalate e agli sport bianchi. E così già nel 1898 nel cluster di Cortina, l’elegante alpinista inglese Beatrice Thomasson, membro dell’Österreichischer Alpenverein dal 1893, divenne particolarmente famosa per la conquista di alcune vette dolomitiche, spesso accompagnata dalla guida alpina Arcangelo Siorpaes.
Qualche anno dopo, nel 1909, anche la Regina Elisabetta del Belgio, insieme con il marito e due guide alpine, si spinse sulla Punta di Fiames, a ben 2.240 metri di altezza, per ammirare dall’alto la conca ampezzana.
A partire dagli anni Venti del Ventesimo secolo vennero organizzate regolarmente, nell’attuale cluster Bormio – Livigno, una serie di gare sciistiche invernali. Le donne tuttavia dovettero aspettare il 1936. In quell'anno fu organizzata infatti la prima competizione tutta al femminile e lo sci non fu più un tabù per le donne della valle.
Questa attività era considerata sconveniente per le movenze, poco aggraziate, oltre che poco pratica per l’attrezzatura – gli sci erano in legno e i bastoncini semplici bacchette di nocciolo (còler in dialetto) senza nessuna impugnatura – e per l’abbigliamento, che per le donne non contemplava i pantaloni sportivi.
Solo alcuni decenni dopo, le donne si vedranno invece grandi protagoniste nelle competizioni internazionali degli sport alpini.