Le aree alpine sono state spesso narrate come territori caratterizzati da chiusura e immobilismo sociale, basati su economie di sussistenza o autarchiche. Il lavoro contadino era una prerogativa maschile in cui la donna svolgeva essenzialmente il compito di coadiuvante, relegata a un ruolo secondario che ne ha oscurato la funzione sociale ed economica. 

Fino agli anni Cinquanta del Ventesimo secolo, i flussi migratori dalle valli alpine contribuirono indirettamente alla formazione di vere e proprie società temporanee, segnate da una spiccata femminilizzazione della vita economica e sociale locale.

Le immagini custodite negli archivi raccontano dei duri lavori a cui erano sottoposte le donne sia in ambito domestico sia nell’economia territoriale della comunità montana, di cui assicuravano la sopravvivenza. Il lavoro delle donne nell’economia rurale di sussistenza era poco più che manodopera gratuita, senza alcun riconoscimento professionale. 

Nonostante la morfologia dei territori montani sia eterogenea, le donne, anche in giovane età, erano gravate allo stesso modo di tutti i lavori domestici e rurali: portavano sulle spalle carichi di legna e fieno quasi quanto riuscisse a portarne un mulo, lavoravano la terra con zappa e aratro, sfalciavano le erbe foraggere, cardavano la lana, tessevano il lino, preparavano il burro, macellavano il maiale e, al tempo stesso, preparavano cibi, lavavano, stiravano e rammendavano gli abiti buoni. Le occasioni di svago erano quasi inesistenti.

Immagini dunque che evocano le difficili condizioni di vita delle donne che, fin dall’adolescenza, sopperivano al lavoro degli uomini a causa della loro assenza, perché temporaneamente emigrati o impegnati in altre attività lavorative più remunerative e socialmente ambite. 

Come si vede nella mappa storica, fin dalla fine del Settecento in Val di Fiemme i boschi erano stati censiti per lo sfruttamento, dato l'ingente patrimonio boschivo di cui era dotata la Magnifica Comunità di Fiemme.

 Le “Piciolère” avevano un ruolo fondamentale nella selvicoltura poiché garantivano il rinnovamento naturale per la conservazione del bosco attraverso la piantumazione di piccoli arbusti. Il territorio montano ha incontrato sfide di ordine geologico, climatico, idrologico e sociale, le cui conseguenze lo rendono un ambiente vulnerabile. 

Attualmente, si stanno aprendo nuove prospettive – in cui le donne sono ancora una volta protagoniste – che riabilitano le attività tradizionali come: la pastorizia, la lavorazione della lana, l'agricoltura d'alta quota, il turismo sostenibile, la riqualificazione di borghi alpini e alpeggi.